I tecnici della Commissione UE dicono «no» al nucleare
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22 Dicembre 2021
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13 membri del Technical Expert Group della Commissione europea smontano le argomentazioni pro-nucleare del JRC – sulle quali si sta basando Bruxelles – e ribadiscono: non rispetta il principio di precauzione e vincola le società per almeno 80-130 anni, senza contare i tempi di smaltimento delle scorie.
Bruxelles sta facendo una scelta tutta politica, approvando che il nucleare entri nella tassonomia verde, mascherandola da decisione guidata dalla scienza: dati e fatti, al contrario, dicono chiaramente che l’atomo deve restare fuori dalla lista europea degli investimenti sostenibili. Lo sostengono 13 membri del Technical Expert Group della Commissione europea.
“La questione se l’energia da fissione nucleare sia conforme” al principio di precauzione che innerva i trattati comunitari (“do not harm principle“) e quindi anche la tassonomia UE “è stata al centro della valutazione del gruppo di esperti tecnici sulle tecnologie di fissione nucleare, che ha raccomandato alla Commissione di non includere il nucleare nella tassonomia UE delle attività ambientalmente sostenibili”, scrivono in una petizione.
Un parere che continuano a sostenere, smontando l’argomentazione del JRC, il centro di ricerca in-house della Commissione, che ha invece redatto un rapporto tecnico con parere positivo al nucleare, sul quale si sta basando l’esecutivo UE. La commissaria all’energia Kadri Simson si era già affrettata ad affermare che “Il costo dei finanziamenti giocherà un ruolo chiave nel rendere possibile e competitiva la produzione di energia nucleare“. Si parla di finanziamenti che sono nell’ordine di qualche decina di miliardi di euro solo per prolungare la durata d’esercizio degli impianti esistenti, ma salgono a centinaia di miliardi per le nuove centrali per mantenere la stessa quota di nucleare di oggi nel mix energetico europeo al 2050.
“C’è un crescente senso di realismo sulla necessità di integrare le energie rinnovabili con la produzione di elettricità del carico di base“, ha detto la commissaria: “L’energia nucleare è la fonte a minor contenuto di carbonio più diffusa, che fornisce il carico di base necessario per la stabilità della rete elettrica“.
Ma il Technical Expert Group insiste: “Lo smaltimento geologico in profondità delle scorie nucleari ad alta attività comporta la necessità di un’adeguata garanzia di qualità e di un controllo della compatibilità della forma delle scorie, così come il monitoraggio degli impatti sulla salute e la conservazione delle conoscenze e della memoria per migliaia di anni”. Inoltre, sarebbe anche richiesta “la dimostrazione operativa dello smaltimento in Europa”. E ancora, sul lato etico: “Il fatto che secondo lo stato attuale delle conoscenze tecniche non ci siano alternative allo smaltimento geologico profondo come “soluzione” del problema dei rifiuti nucleari non toglie il suo carattere eticamente problematico“.
Anche includere il nucleare in una lista di attività transitorie non sarebbe la scelta giusta, proseguono i tecnici della Commissione: questa categoria è pensata per evitare di restare agganciati a una data tecnologia o fonte energetica per troppo tempo, ma i tempi del nucleare sono molto lunghi. “Le centrali nucleari a fissione richiedono almeno 10 anni per essere costruite (con esperienze recenti che indicano addirittura 20 anni per l’EPR), mentre devono rimanere operative per 50-60 anni“.
Poi c’è lo smantellamento, “che richiederà altri 20-50 anni“. In totale, “la decisione di costruire nuove centrali nucleari blocca le società per circa 80-130 anni, senza contare gli anni necessari per stoccare il combustibile esaurito o smaltire le scorie di alto livello“.
Il problema dello smaltimento è serio
Uno dei principali problemi delle centrali nucleari è cosa fare delle barre di combustibile esaurito. I loro livelli di radioattività sono così alti che dovranno passare varie migliaia di anni prima che siano innocue per l’ambiente. Fino ad allora, devono essere isolate.
Lo smaltimento geologico in profondità si è imposto come la soluzione più pragmatica per il problema della gestione dei residui nucleari, battendo sia l’affondamento in alto mare che il lancio nello spazio (ma ci rendiamo conto?). Il punto debole critico dello smaltimento a profondità geologica è la minaccia di fuga di radionuclidi dal deposito.
Una ricerca sostenuta dal programma quadro EURATOM si è concentrata sulla geosfera, la regione tampone tra il deposito e la biosfera. Mentre con il progetto RETROCK, lo SKI (Swedish Nuclear Power Inspectorate) ha misurato l’idoneità degli odierni modelli computerizzati di valutare correttamente il rischio di qualsiasi sito determinato, simulando i processi più importanti: decadimento radioattivo, trasporto e fenomeni che descrivono come i radionuclidi sfuggono nelle fasi gassosa, liquida e solida.
C’è molto poco da stare allegri e – visto come sono gestiti i rifiuti tossici in Italia – c’è anche poco da fidarsi.
Cosa di dice in Italia?
Il titolare del ministero della Transizione Ecologica – Roberto Cingolani – richiama la necessità di ragionare fuori dagli schemi ideologici che hanno contraddistinto i decenni passati, e invita a “guardare i numeri”. E, con approccio “tecnico” spalanca la porta a gas e atomo: “Fermo restando che è stato fatto un referendum dove si è detto che non vogliamo il nucleare di 1° e 2° generazione, si stanno affacciando tecnologie di 4° generazione senza uranio arricchito e acqua pesante. Ci sono Paesi che stanno investendo su questa tecnologia, forse non ancora matura ma prossima ad essere matura. Se ad un certo momento si verificasse che i chili di rifiuto radioattivo diventino pochissimi, la sicurezza elevata e il costo basso, sarebbe da folli non considerare questa tecnologia“.
I 13 membri del comitato scientifico sembrano aver risposto anche al ministro Cingolani.
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