Coronavirus. Non dimentichiamo di riaprire i parchi
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20 Aprile 2020
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Nel sempre più acceso dibattito su come, cosa e quando riaprire dopo il picco di emergenza della pandemia, un aspetto che è rimasto relativamente in ombra è il ripristino dell’accesso ai parchi e ai giardini pubblici, chiusi in tutta Italia dal 21 marzo con un’ordinanza del governo.
Di fronte all’emergenza sanitaria e al rischio di una grave crisi economica, andare al parco è stato trattato come un capriccio da irresponsabili. I trasgressori sono diventati uno dei bersagli più frequenti dei rimproveri delle autorità e dell’ira dei social network.
In realtà passare del tempo all’aria aperta è un’attività essenziale, molto più di certe industrie che sono state esentate dai decreti del governo o di cui si invoca la riapertura. Numerosi studi hanno dimostrato che il contatto con la natura ha effetti positivi sul sistema immunitario e che, al contrario, la mancanza di esercizio fisico e di luce solare per periodi prolungati può avere conseguenze molto gravi per la salute fisica e mentale. La carenza di vitamina D, che può essere provocata dalla scarsa esposizione al sole, è associata a un rischio più elevato di malattie respiratorie.
È perfettamente comprensibile che nei primi giorni caotici dell’emergenza, quando tutto l’apparato statale vacillava sotto l’urto di una crisi imprevista, ristabilire il controllo limitando al massimo le interazioni sia stata una priorità assoluta. Quasi tutti i governi europei hanno imposto limitazioni all’accesso ai parchi urbani. Quando è diventato chiaro che dovremo convivere con il virus ancora per molti mesi, però, molti hanno concluso che questi provvedimenti non sono sostenibili a lungo termine e hanno annunciato l’intenzione di revocarli. Alcuni, come l’Austria, lo hanno già fatto.
Fattori di disuguaglianza
Uno dei motivi è che la chiusura dei parchi ha introdotto in questa crisi un altro fattore di disuguaglianza, tra chi dispone di un giardino privato o vive in aree relativamente salubri e chi è costretto a sopportare l’isolamento nei palazzoni di un sovraffollato quartiere popolare. In questi luoghi le contraddittorie norme imposte dal governo sull’attività fisica all’aperto hanno avuto l’effetto di concentrare pericolosamente le persone nei pochi spazi disponibili nel raggio di duecento metri da casa. Sui marciapiedi, nei cortili e sui tetti dei condomini spesso si osserva una densità di persone superiore a quella che si poteva trovare sui viali e sui sentieri delle aree verdi.
Questa può essere l’occasione per rivalutare i servizi essenziali che le aree verdi svolgono nelle città
Parchi e giardini non rappresentano un pericolo in sé. A favorire il contagio sono gli assembramenti e i contatti ravvicinati, ma questi sono fattori di rischio che si ritrovano ovunque e che bisognerà imparare a gestire, non con i divieti ma responsabilizzando i cittadini. Sono state avanzate diverse proposte su come garantire l’accesso agli spazi verdi in sicurezza, dal contingentamento all’assegnazione di giorni differenti a diversi gruppi di popolazione e alla creazione di percorsi differenziati.
Impedire l’accesso a tempo indeterminato significa semplicemente ammettere l’ennesimo fallimento nella gestione della cosa pubblica, come avveniva regolarmente, anche prima della pandemia, quando a ogni tempesta si chiudevano i cancelli per il rischio di caduta rami e poi ci si “dimenticava” di potare gli alberi per evitare che il problema si ripresentasse. Questa può essere l’occasione per rivalutare i servizi essenziali che le aree verdi svolgono nelle città, e per comprendere che destinare le risorse adeguate alla loro gestione non è un lusso, ma un investimento fondamentale.
I parchi naturali
Il discorso non vale solo per i giardini urbani, ma per tutti gli spazi verdi pubblici, compresi i parchi naturali. Se, come sembra ormai probabile, dopo il 4 maggio ci si potrà spostare solo all’interno dei confini regionali, per moltissimi italiani sarà impossibile raggiungere le tradizionali mete di vacanza. Incoraggiare l’accesso ai parchi e alle riserve presenti in ogni regione, e spesso sconosciute anche a chi vive a pochi chilometri di distanza, può essere un modo per offrire un’alternativa.
Si possono immaginare diverse strategie per evitare che questo avvenga in maniera disordinata, pericolosa per la salute e dannosa per la flora e la fauna dei parchi naturali. Per esempio, si possono organizzare visite guidate per piccoli gruppi in modo da rispettare il distanziamento, magari impiegando gli abitanti dei paesi vicini che perderanno il lavoro a causa della chiusura delle strutture ricettive. Per salvare la stagione turistica potrebbe essere una soluzione migliore che mettere recinti di plexiglass intorno agli ombrelloni. Soprattutto, potrebbe essere un’occasione unica per far conoscere agli italiani il patrimonio naturale che hanno a due passi da casa e per estendere e tutelare ulteriormente la rete delle aree protette.
[Contributo di Gabriele Crescente per l’Internazionale]ATTENZIONE
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