Forse "andrà tutto bene" ma nulla sarà più come prima. A partire dal turismo.

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Pandemia: andrà tutto bene?

DA UNA PANDEMIA ALL’ALTRA

Per iniziare una riflessione, iniziamo da un piccolo esercizio di memoria. Negli ultimi 20 anni il pianeta è stato flagellato da diverse epidemie virali: il millennio è iniziato con l’esplosione della sindrome respiratoria acuta grave (SARS-CoV), ha visto nel 2009 il diffondersi dell’influenza H1N1 e il primo coronavirus nel 2012, sottovalutato a causa del suo nome – sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS-CoV) – senza dimenticare Ebola, che però sembra andare verso una completa remissione.

Tutti questi virus sono potenzialmente pandemici, cioè possono causare mortalità su scala planetaria. Non può sorprendere nessuno, dunque, se il nome del virus che causa l’attuale pandemia è SARS-CoV-2: come il sequel di un film, mantiene inalterata la struttura del precedente, anche se la sceneggiatura è diversa.Ciò va compreso nel più ampio contesto di uno scenario globale in cui già si prevedono situazioni al limite del collasso: almeno fino al 2030, la popolazione continuerà a crescere per raggiungere quota 11 miliardi di individui (eravamo 2 miliardi nel 1969), che peraltro tenderanno a concentrarsi sempre più nelle città e nelle metropoli, abbandonando terre estreme e periferiche. Senza un deciso cambiamento di dieta e di abitudini alimentari, ciò richiederà un ulteriore aumento della produzione agricola e animale, che amplierà non soltanto l’uso di agenti chimici come antibiotici, pesticidi e fertilizzanti, ma consumerà ancora più acqua e farà decisamente aumentare i tassi di contatto tra uomo e animali, che è la causa primaria dell’emergere e del diffondersi degli agenti infettivi.
Gli scienziati avevano ovviamente avvisato i governi per tempo: in assenza di limitazioni, controlli rigorosi e decisi investimenti nella ricerca scientifica, le epidemie seguiteranno a ripetersi anche in futuro.

UN NECESSARIO CAMBIO DI PARADIGMA

Ancor più necessario appare un cambio di paradigma che investa l’intero sistema, non solo a livello di sanità ma a livello di cura dell’ambiente, a livello sociale, a livello economico ed a livello di cambiamento climatico.
Su tutto, l’uso del suolo: servono urgentemente nuovi orientamenti per evitare l’estensione di intere regioni del mondo in campi coltivati e allevamenti intensivi, vero flagello per il pianeta. Il consumo indiscriminato di acqua e il contatto alterato con la fauna aumentano la trasmissione di agenti patogeni potenzialmente pandemici. È necessario un patto tra tutti i Paesi del mondo – tra nord e sud, tra oriente e occidente – che induca ad un nuovo rapporto tra terra, cibo, ambiente e clima, basato su un’etica finalmente condivisa (come suggerisce da tempo il modello BioSlow).

L’alternativa è continuare a ballare sul Titanic, facendo finta di nulla. Oppure derubricando il problema. In fondo, ogni anno per l’inquinamento atmosferico muoiono circa 8.000.000 di persone nel mondo, mentre il traffico aggiunge 1.200.000 vittime della strada. Ma questi dati non sembrano finora averci dettato un’agenda di impegni per ridurre le fonti alteranti e lo smog, né aver seriamente consentito di considerare le opportunità di una mobilità innovativa.
Si pensi al portato straordinario della mobilità dolce: viaggiare con mezzi più lenti ma meno impattanti sull’ambiente comporta una serie di vantaggi non soltanto in ordine alla sostenibilità dei trasporti, ma anche alla qualità della vita, delle relazioni sociali, delle connessioni territoriali e dei modelli di sviluppo.

IL TURISMO NELL’ERA DELLE PANDEMIE

Non possiamo nasconderci che gli effetti collaterali delle pandemie continueranno a mettere sotto pressione i sistemi sanitari, stimolare disordini civili, produrre effetti economici devastanti, stravolgere le relazioni sociali e – non da ultimo – interrompere le reti commerciali e di viaggio.
La risposta alle diverse stagioni virali non potrà dunque essere solo “reattiva”, cioè limitata a farmaci e vaccini, né l’affidarsi ad una politica di sussidi né – tantomeno – al buonismo da balcone che ci fa assomigliare ad un immenso villaggio vacanza.
Con grande probabilità, andranno affermandosi le soluzioni e i metodi di controllo che i ricercatori invocano da tempo: non potendo trovare vaccini miracolosi per ciascun agente virale che si diffonderà nei prossimi anni, sarà necessario modificare gli stili di vita e le abitudini delle persone. Nulla sarà più come prima e dobbiamo iniziare a prepararci. Così come alla vigilia dell’11 settembre non avremmo mai immaginato di doverci sottoporre a restrizioni rigidissime, così dovremo abituarci a nuove misure di contenimento dei virus.
Il tema, infatti, per lungo tempo non sarà trovare una cura ma mantenere il sistema sanitario al di sotto della soglia di collasso. Occorreranno misure permanenti di distanziamento sociale, che funzioneranno “a fisarmonica”: saranno più estreme ogni volta che i ricoveri nei reparti di terapia intensiva inizieranno ad aumentare ma potranno essere ammorbidite quando il numero dei ricoveri diminuirà.

Ad oggi, non è dunque difficile prevedere che nel prossimo futuro si alterneranno stagioni di isolamento a stagioni in cui sarà possibile muoversi e viaggiare, fermo restando che le persone con sintomi – o con familiari che presentino sintomi – saranno comunque confinate tra le mura domestiche.
In questa direzione, l’analisi del MIT Technology Review, il magazine della prestigiosa università americana, va anche oltre: “Per fermare i contagi pandemici dovremo cambiare radicalmente quasi tutto quello che facciamo: come lavoriamo, facciamo esercizio fisico, socializziamo, facciamo shopping, gestiamo la nostra salute, educhiamo i nostri figli e ci prendiamo cura dei nostri familiari”.
A breve termine ciò risulterà estremamente provante per le imprese che contano su un gran numero di persone che si riuniscono in massa: ristoranti, caffè, bar, discoteche, palestre, hotel, teatri, cinema, centri commerciali, fiere, musei, luoghi sportivi, sedi di congressi, scuole, mense, trasporti pubblici e stazioni, compagnie di crociera, compagnie aeree e aeroporti.Per adattarci a questo nuovo scenario, saremo chiamati ad accettare cambiamenti nella vita personale e nel modo di lavorare che la pandemia potrebbe finire per cristallizzare dopo che l’ondata del coronavirus si sarà attenuata. Ci verrà richiesta la capacità di socializzare in sicurezza e, quindi, probabilmente dovremo accettare compromessi imbarazzanti che ci consentiranno di mantenere una certa parvenza di vita sociale: per evitare affollamenti, terremo riunioni di lavoro in sale più grandi con sedie distanziate, frequenteremo teatri e sale cinematografiche con metà dei posti liberi, prenoteremo in anticipo l’utilizzo di palestre, centri sportivi, mezzi di trasporto e viaggi.

Secondo le previsioni dell’Organizzazione mondiale del Turismo presso le Nazioni Unite (UNWTO), gli arrivi turistici erano destinati ad aumentare fino ad arrivare a quota 1.8 miliardi entro il 2030. Questi numeri dovranno essere senza dubbio rivisti e aggiornati.
Per non far collassare integralmente le filiere dei servizi turistici, questi dovranno probabilmente essere convertiti in “servizi evoluti alla persona”, pensati per consentire il viaggio e il trasporto con modalità innovative (come già sperimentano da anni i camminatori e i cicloturisti, ma anche chi viaggia per attività sportive e outdoor dovendo spostarsi con strutture e attrezzature).
In fondo, chi viaggia a piedi, in bicicletta e con altre modalità naturali o elettriche conosce già benissimo questa dimensione del tempo e dello spazio, apparsa fino a ieri “alternativa” al turismo di massa ma che oggi si presenta come un’opportunità per recuperare una relazione positiva con i luoghi e con le persone, al riparo dalle paure e dagli egoismi, dalla fretta e dal consumismo che ha pervaso anche le dimensioni più intime del viaggio.

TRA DISCRIMINAZIONE LEGALE E “NUOVE NORMALITÀ

Anche la tecnologia dovrà cambiare indirizzo, affiancando i sistemi sanitari nazionali nello sviluppo di metodi più sofisticati per consentire alle autorità di identificare chi sia a rischio di malattia e chi no. Con la conseguenza di rendere possibile una nuova frontiera di discriminazione legalmente e socialmente accettabile.

Naturalmente nessuno può dire come evolverà questo nuovo futuro. Ma non è difficile immaginare un mondo in cui, per salire su un volo, si dovranno accettare molte altre limitazioni finora impensabili, alla privacy e alla libertà personale, come ad esempio risultare iscritti a servizi online in grado di tracciare tutti gli spostamenti attraverso lo smartphone. Un mondo con scanner della temperatura installati ovunque, in grado di monitorare i segni vitali prima di concedere l’accesso a grandi spazi, edifici governativi e snodi di trasporto. Per estensione, i locali pubblici potrebbero chiedere una prova di immunità o una sorta di verifica digitale che dimostri che siamo guariti o siamo stati vaccinati contro i più recenti ceppi del virus.
Dovremo adattarci a un nuovo modo di vivere, di lavorare, di viaggiare e di creare relazioni. Le cose non torneranno alla normalità tra qualche settimana, né tra qualche mese, perché la “normalità” dovrà trovare il tempo di maturare nuovi punti di equilibrio e nuovi compromessi. Però dobbiamo necessariamente iniziare ad accettare che alcune situazioni e alcune esperienze non potranno essere vissute mai più. Saranno “nuove normalità“.

Qualcuno si spinge a ritenere persino che in futuro non ci si presenterà più con una stretta di mano e non ci si potrà salutare con un abbraccio o un bacio. Ma questo genere di limitazioni farebbe venir meno il senso stesso di vivere, di esistere, di essere umani. Pertanto vogliamo sperare che la stagione dei gesti di affetto e di relazione non finirà mai e che, anzi, rappresenti la sfida del tempo che verrà: rallentiamo per scrivere insieme un nuovo dizionario di gesti che sconfiggano la paura e l’indifferenza, la maleducazione e ogni forma di prevaricazione.

Federico Massimo Ceschin

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