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Manager di destinazione

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Il decreto “made in Italy”, ripubblicato in Gazzetta ufficiale ieri – 15 gennaio 2024 – introduce (finalmente!) anche in Italia la figura professionale del Manager di destinazione. In attesa dei decreti attuativi, affidati al Ministero del Turismo, qualche riflessione appare opportuna…

Il nuovo quadro normativo

Il testo della legge 27 dicembre 2023, n. 206, recante: «Disposizioni organiche per la valorizzazione, la promozione e la tutela del made in Italy», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – Serie generale – n. 300 del 27 dicembre 2023 e ripubblicato ieri, 15 gennaio 2024, all’art. 31 recita così:

Promozione dell’Italia o di parti del suo territorio nazionale come destinazione turistica

  1. In considerazione dell’obiettivo strategico di accrescere l’attrattività turistica dell’Italia e la competitività dell’intero settore turistico e agrituristico nazionale, anche con riferimento alla promozione del patrimonio idrotermale, ricettivo e turistico e alla valorizzazione delle risorse naturali e storico-artistiche dei territori termali, come individuati dall’articolo 2, comma 1, lettera f) , della legge 24 ottobre 2000, n. 323, nonché di assicurare che la promozione dell’Italia o di parti del suo territorio come destinazioni turistiche avvenga entro una cornice unitaria, è istituito presso il Ministero del turismo un comitato nazionale, presieduto da un rappresentante dello stesso Ministero e composto da un delegato per ciascuna regione e provincia autonoma e da un delegato dell’Associazione nazionale comuni italiani.
    Alle riunioni del comitato possono essere invitati a partecipare rappresentanti dei Ministeri competenti per materia e rappresentanti delle associazioni di categoria dell’artigianato e del turismo comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Il comitato assicura il raccordo politico, strategico e operativo per coordinare le campagne di promozione all’estero dell’Italia, come destinazione turistica, anche nel caso in cui oggetto diretto dell’attività pubblicitaria sia una sola parte del territorio nazionale.
    Il comitato, anche avvalendosi della collaborazione di esperti a titolo gratuito, individua e valorizza località considerate minori ma aventi forte potenziale turistico, incoraggiando la creazione di itinerari secondari di valore e promuovendo la connessione tra i territori limitrofi, affermando l’identità locale italiana in identità competitiva. Il comitato promuove altresì la costituzione di forme di cooperazione locali e la realizzazione di un sistema turistico di destinazione nonché della figura del manager di destinazione.
    Per la partecipazione al comitato non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati.
  2. Con decreto del Ministro del turismo sono stabilite le norme di attuazione del comma 1.

Prime considerazioni

Come è naturale premettere, SIMTUR saluta con un caloroso benvenuto una norma che introduce finalmente la figura professionale del Destination Manager (“manager di destinazione“) anche nel nostro Paese: dal 2019, l’ecosistema professionale nazionale si adopera in ogni sede per giungere ad un riconoscimento normativo, professionale, giuridico, disciplinare e formativo delle competenze specialistiche necessarie per esercitare questo ruolo assicurando capacità, modelli virtuosi, metodi e strumenti efficaci ai territori che accettano la sfida di affermarsi come destinazioni turistiche in questo tempo caratterizzato dalla twin transition, la doppia transizione ecologica e digitale.

Con la nuova norma, si è aperto un orizzonte denso di aspettative e decisamente strategico per il futuro di un Paese – non uno qualsiasi, del “Bel Paese” – che fatica a riconoscere la “fabbrica del turismo” nonostante rappresenti una parte importante dell’economia: “Vero motore del Pil“, secondo i dati del report sulla Congiuntura 2023 di Confindustria. Oltre il 6% nei dati Istat e Banca d’Italia,

Nelle parole del ministro del turismo Daniela Santanché: «Il turismo è sempre più un pilastro strutturale dell’economia, ben evidenziando che le attività del settore coinvolgono l’intero Sistema Italia – ossia trasporti, cibo, IT, lavori edili e così via– e, pertanto, il contributo complessivo che il turismo apporta all’economia nazionale è ben più alto della quota PIL che viene assegnata dalle statistiche». Qualcuno dice l’11%. Altri si spingono fino al 13% del Pil.

L’Italia continua peraltro a rimanere in vetta alle preferenze di viaggio della popolazione mondiale. Lo certifica l’indagine “Be-Italy” commissionata da ENIT – Agenzia Nazionale del Turismo all’istituto di ricerca IPSOS che – analizzando la percezione dell’Italia in 18 Paesi stranieri – ha rilevato che è il terzo paese più conosciuto del mondo (45% sul totale della popolazione globale) dopo Stati Uniti e Regno Unito. Alla domanda «Se vincesse una vacanza premio all’estero, dove vorrebbe andare?» il 37% della popolazione mondiale risponde senza esitazioni, «In Italia!» (con percentuale ancora maggiore tra i ceti elevati, dove raggiunge un ragguardevole 41%).
Risultati che offrono due certezze: la prima è che l’Italia è la destinazione turistica ideale, prima assoluta, capace di suscitare desiderio in oltre 1/3 della popolazione mondiale. La seconda vuole che la stima aumenti presso le classi dirigenti, la porzione più alfabetizzata del pianeta e le fasce di reddito con maggiore capacità di spesa. Come mai? Perché l’Italia è anche il primo Paese al mondo ad essere associato a fattori di eccellenza quali la creatività, l’inventiva e la qualità della vita, che a sua volta è associata a fattori quali l’offerta enogastronomica, la moda e la cultura.

Quindi va tutto bene?

Anche se l’Italia si conferma in cima alle destinazioni sognate in ogni angolo del Pianeta, è pur vero che è scivolata al 5° posto per numero di arrivi internazionali. E al 6° posto per fatturato complessivo. Inoltre, nonostante l’attrazione di vivere “un’esperienza italiana” sia sempre fortissima, scendono anche permanenza media e spesa media. Così sono già diverse le ricerche che prevedono la discesa ad un desolante 8° posto entro la fine del decennio, superati anche dalla Turchia.

Nel 1950, un viaggiatore internazionale su 5 sceglieva l’Italia. Certo, allora viaggiavano poco più di 25 milioni di persone, ma da allora la quota di mercato si è ridotta di decennio in decennio, dal 19% del 1950 al 15.9% del 1960, al 7.7% del 1970 e poi sempre più giù fino al 6.1% del 1990, al 4.6% del 2010 e al 4.2% di oggi (dati Istat).
Altrettanto certamente possiamo osservare come si siano aperti nuovi mercati, e spalancate nuove frontiere, mettendo in movimento nuovi popoli di viaggiatori, ma nessuno ha perso quanto l’Italia. E soprattutto nessuno ha approfittato così poco del boom del turismo mondiale: dal 1950 ad oggi, i viaggiatori internazionali nel Bel Paese si sono moltiplicati 10 volte – da 5 a 50 milioni – ma nel frattempo l’immenso popolo di turisti nel resto del mondo si è moltiplicato 43 volte, evidentemente non scegliendo la destinazione che più di ogni altra avrebbe desiderato. Difficile contabilizzare la perdita.

Le cause di una competitività “appannata”

Secondo Banca d’Italia, i punti dolenti sono il Sud e le Isole, che anche nel 2022 hanno mostrato la propria debolezza (difficoltà dei collegamenti, fragilità del territorio amplificata da fenomeni metereologici estremi compresi gli incendi e un’industria turistica fondata sulla formula “bed and breakfast” che – come ripetutamente evidenziato da Sociometrica – porta un minore valore aggiunto al territorio attirando normalmente una clientela con una minore capacità di spesa).

Consultando i dati del World Economic Forum, l’Italia è solo ottava per capacità attrattiva (la Spagna supera il Bel Paese in tutti e 14 i parametri che compongono questo indice, che comprende accoglienza delle strutture, attrattive turistiche, livello delle infrastrutture, programmi dedicati a single e famiglie, passando per spiagge, clima e persino cibo e arte!).

Di pari passo anche il posizionamento internazionale del brand “Italia”, che perde posizioni anche nella più recente stima dell’istituto di ricerca tedesco Anholt: l’Italia si piazza al nono posto nel “National Brands Index 2022”, l’indice che classifica le nazioni in base alla loro reputazione globale. Oltre ventimila adulti intervistati in cinquanta Paesi, con 6 categorie di riferimento: esportazioni, governance, cultura, popolazione, turismo, investimento e immigrazione (qui inteso come il potere di attrarre persone per vivere, lavorare o studiare, correlato al modo in cui le persone percepiscono la qualità della vita e il contesto economico nazionale).
Pur continuando a perdere posizioni (nell’indice 2017 era al settimo posto!), l’Italia rimane in vetta per la voce “turismo” e al terzo per “cultura”, settori nei quali hanno decisamente investito tutti i Paesi che sono sopravanzati nella classifica degli arrivi e che, nel frattempo, hanno proceduto ad una progressiva integrazione dei servizi a favore della fruizione dei visitatori: le grandi città d’arte, per rimanere al segmento nel quale dovremmo presentarci maggiormente competitivi, hanno organizzato l’offerta in funzione della domanda, avvalendosi delle nuove tecnologie per aumentare la fruibilità e l’accessibilità. Strumenti semplici per godere a pieno, senza code e senza stress, dei trasporti pubblici, dei musei e di tutti i servizi. L’Italia ancora no.

Un paniere di prodotti coerenti con l’identità locale, omogenei e integrati

A chi spetta il compito di generare soluzioni per rendere accessibile, fruibile e monetizzabile la straordinaria bellezza dell’Italia?

Qualcuno ancora pensa agli STL, Sistemi Turistici Locali (perché individuati dall’unico testo di legge nazionale sul turismo, datato 2001), mentre altri insistono con i Club di prodotto, portati fuori strada da grandi guru del marketing rimasti ancorati al Novecento. Per buona sorte, ci pensa l’UNWTO a mettere i territori sulla retta via, con la definizione di DMO (Destination Management Organizations), così descritta: «Una realtà organizzata che può comprendere le diverse autorità, stakeholder e professionisti, per facilitare accordi nel settore turistico che raggiungano una visione collettiva della destinazione. Le strutture di governance variano da quella di ente pubblico a quella di associazione pubblico-privata, con il compito di avviare, coordinare e gestire determinate attività come lo sviluppo delle politiche turistiche, la pianificazione strategica, lo sviluppo del prodotto turistico, la sua promozione e commercializzazione».

Non solo promozione, dunque. Ma anzitutto un lavoro di cura, di tessitura, di cesello, mirato a coinvolgere e ingaggiare tutti i portatori di interesse della filiera turistica, sia pubblici che privati, per allinearne le traiettorie definendo criteri di successo condivisi e una visione di sviluppo di lungo periodo del settore e delle località interessate, garantendo vantaggi diffusi a tutta la comunità, in armonia con il paesaggio, con l’ambiente e con le esigenze dei residenti.

Al vertice di tali organismi complessi, il Destination Manager (o “manager di destinazione“).

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La figura professionale del Manager di Destinazione

Qualsiasi località può diventare una meta turistica. Anche un fatto di cronaca nera può generare flussi turistici.
Le località turistiche del “Bel Paese”, viziate da una ultrasecolare rendita di posizione, spesso non considerano null’altro che l’attività di promozione, dimenticando spesso di essere elemento di pianificazione di un intero territorio e di raccolta delle diverse istanze di valorizzazione. Quando la norma parla di “pubblicità“, finisce per considerare il territorio come un prodotto commerciale e non come un soggetto vivente ad elevata complessità.

Prova ne sia che il successo turistico continua ad essere misurato con parametri quantitativi come arrivi e presenze, mentre sarebbe il caso di comprendere come la significatività del settore si debba piuttosto analizzare sulla base del numero delle imprese, del numero di addetti e del valore della produzione. E magari anche con parametri qualitativi, mirati a verificare la soddisfazione dei cittadini e dei visitatori relativamente ai servizi ed a tutto ciò che contribuisce a migliorare la qualità della vita e dell’esperienza.

Il territorio diventa destinazione, infatti, quando l’identità, la cultura e le esperienze di comunità diventano una “proposta di valore” per tutti, in cui le risorse territoriali (attrattori, infrastrutture e servizi) – ovvero la materia prima del prodotto turistico – sono accompagnate a comporre un’offerta integrata, capace di emergere nei mercati e di proporsi alla piena accessibilità e fruizione. E quindi esiste una regia unitaria e flessibile che deve possedere un’adeguata capacità di garantire prosperità in un’ottica diffusa e durevole, garantendo la notorietà e tutelando l’immagine nel tempo.

Più ancora, ciò che convince i potenziali turisti a visitare un luogo e tornarvi è il livello di empatia provato per la destinazione e i suoi valori. La Unique Selling Proposition (USP) sta diventando sempre più Unique Emotional Proposition (UEP): è l’emozione che differenzia concretamente l’esperienza turistica, offrendo un reale vantaggio per i clienti e una relazione diretta con il prodotto e con le persone che vivono un territorio, producendo economia delle relazioni.

Ne discende che la responsabilità del manager di destinazione – prima del ruolo – è quella di creare e promuovere queste connessioni fertili, supportando gli operatori nel progettare e fornire esperienze significative, autentiche e “immersive”, ovvero consentire ai visitatori di immergersi nella cultura locale, lungo l’intera catena del valore del turismo, che inizia dai prodotti della terra, coinvolge l’artigianato e naturalmente coinvolge tutti gli operatori dell’informazione, dell’accoglienza e dell’ospitalità. Ma anche i cittadini, perché nessuno dovrebbe sentirsi escluso dall’essere curatore del grande spettacolo che quotidianamente l’Italia offre agli occhi stupiti e ammirati di chi arriva.

Formazione, specializzazione e qualificazione dei servizi

Per svolgere il ruolo di Destination Manager – che a SIMTUR chiamiamo “Community Destination Manager” per intendere in modo diretto come si tratti di una figura che agisce sul piano della comunità locale almeno quanto dei visitatori – sono richieste soft skills quali la passione per la propria terra, la capacità di leggere gli scenari e la cultura di rete, ma anche doti di animazione territoriale e processi partecipativi, tra cui spiccano la coerenza e il coraggio delle scelte. Completano il profilo una serie di competenze specifiche, da specializzare attraverso opportuni percorsi formativi:

  • Integrazione efficace di vari settori disciplinari: gestione della qualità, finanza, sviluppo di prodotti e servizi, gestione del valore delle relazioni, comunicazione, promozione, marketing, casi di studio e sondaggi;
  • Integrazione delle politiche di sviluppo: la comunità dev’essere posta al centro della visione. I cittadini residenti sono attori della domanda e dell’offerta al tempo stesso: sono portatori di identità e di valori, ospiti, guide, fornitori di contenuti e ambasciatori dell’informazione ma – in egual misura – sono anche i primi fruitori e consumatori dei prodotti e dei servizi territoriali;
  • Integrazione delle esperienze: Il patrimonio di risorse e attrazioni di una destinazione, così come quello culturale materiale e immateriale, non è scolpito nella pietra ma nelle esperienze che le persone condividono. È dunque sempre più necessario imparare a fare i conti con un popolo nuovo: non cittadini ma city users, non turisti ma cercatori di esperienze, non utenti di musei ma esploratori interattivi, che nel fine settimana scelgono di fare trekking o, indistintamente, di spostarsi per centinaia di chilometri per visitare una mostra. Se i luoghi vanno diventando elementi secondari, di contesto, le persone sono animate dalla ricerca di condivisione di un “mood”, di uno stato dell’animo quanto più originale e autentico possibile. Nessuna plastificazione: è necessario integrare le plurali identità territoriali con le aspettative dei visitatori.
  • Integrazione delle strategie di comunicazione: la costruzione di ecosistemi di eccellenza dipendono in grande misura dall’efficacia di marchi territoriali, grazie ai quali la reputazione delle imprese e degli operatori si rafforzerà attorno al posizionamento degli altri. Le azioni di comunicazione intraprese dagli attori del territorio devono essere condotte a beneficio di tutte le componenti del territorio, nello spirito del co-marketing;
  • Integrazione diagonale di prodotto: fondamentale per realizzare valore aggiunto in tutti i processi di produzione e servizio, rendendo partecipi anche realtà che sono normalmente escluse – o soltanto marginalmente incluse – nella filiera turistica, generando vantaggi per i fruitori/visitatori che sono anche motivi di reddittività degli operatori e di competitività della destinazione;
  • Integrazione dei modelli e degli strumenti di innovazione: per offrire ai visitatori un prodotto unico ed eccellente, destinato a creare legami duraturi, è necessario investire nei sistemi di analisi e di relazione che consentano alle competenze territoriali (patrimonio dei cittadini) di rispondere alle esigenze dei visitatori;
  • Integrazione delle proiezioni di mercato. Ormai non si parla più di B2C (acronimo dell’inglese Business to Consumer) o B2B (acronimo dell’inglese Business to Business): benvenuti nell’era di H2H, acronimo dell’inglese Human to Human.

Scopri la nuova risorsa online dedicata da SIMTUR alla figura professionale dei manager di destinazione!

Approfondimenti di tutti gli argomenti trattati in questo testo si possono trovare nelle sezioni di questo sito dedicate alle strategie per il turismo.

Per saperne ancora di più, leggi “Il nuovo ruolo delle DMO“, edito da SIMTUR con il marchio editoriale Movability Books.

Il nuovo ruolo delle DMOLE DMO COME “CUORE DELLA DESTINAZIONE”

Verso un sistema coerente, omogeneo, integrato e sostenibile di accoglienza, ospitalità e servizio, in grado di fare leva sulle plurali identità territoriali, sulle esperienze di comunità, sui patrimoni materiali e immateriali e sulle “cose belle” che si producono all’ombra dei campanili (e piacciono al mondo)

UNA RICERCA COLLABORATIVA DI
Daniela Cavallo, Maurizio Di Marco, Virgilio Gay, Giovanni Antonio Sanna, Letizia Sinisi
e Andrea Succi

CURATA DA
Federico Massimo Ceschin

ISBN: 978-88-946156-7-8

Il libro è disponibile su Amazon nel formato di lettura che preferisci:

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