Destinazione turismo: DMO, DMC e DDMC
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9 Gennaio 2024
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Pubblicato da SIMTUR, con il marchio editoriale “Movability Books” un libro / manuale che alimenterà per diverso tempo il dibattito sul turismo nel “Bel Paese”. Nessuna formula magica, naturalmente, ma l’esperienza di 7 manager di destinazione a confronto, per restituire ai territori approcci, metodi e modelli di governance in grado di contribuire all’evoluzione delle destinazioni di turismo sostenibile attraverso le DMO, le DMC e le DDMC…
Tutte le analisi internazionali confermano che l’Italia rimane in vetta nella lista delle mete di viaggio sognate in ogni angolo del Pianeta. Alla domanda “Se vincesse una vacanza premio all’estero, dove vorrebbe andare?”, il 37% della popolazione mondiale risponde senza esitazioni: “In Italia!” (con percentuale ancora maggiore tra i ceti elevati, dove raggiunge un ragguardevole 41%). Il “Bel Paese” continua ad essere la destinazione ideale, prima assoluta, capace di suscitare desiderio in oltre 1/3 della popolazione mondiale, perché associata a fattori di eccellenza quali la creatività, l’inventiva e la qualità della vita, che a sua volta è connessa a fattori quali il paesaggio, il patrimonio culturale, l’offerta enogastronomica, la moda, il turismo e la vivacità culturale.
Ma allora, com’è possibile che sia scivolata al quinto posto per numero di arrivi internazionali? E al sesto posto per fatturato complessivo? E se l’attrazione è esercitata dal desiderio di vivere “un’esperienza italianizzante”, come un residente, com’è possibile che scenda anche la permanenza media?
Secondo i dati più recenti del WTM Global Travel Report, pubblicati in collaborazione con Tourism Economics, sebbene il numero complessivo di visite in Europa sia diminuito del 3% – passando da 440 milioni nel 2019 a 428 milioni nel 2023 – i maggiori competitor dell’Italia sono cresciuti: la Francia del 33% e la Spagna del 31%. Se questi dati potrebbero anche non sorprendere, si prenda atto che la Croazia ha registrato un risultato del 51% superiore ai livelli pre-pandemia. E la Turchia? Più 73%. Secondo i rapporti dell’UNWTO (Organizzazione Mondiale del Turismo presso le Nazioni Unite), la Turchia si è classificata al 4° posto per numero di turisti e al 7° per turismo totale, con un indicatore del reddito turistico pro capite che è aumentato da 670 dollari a 820 dollari, entrando classifica dei 10 paesi con le maggiori entrate turistiche del mondo.
Sarà merito delle acque cristalline? Sarà perché la lira turca si è svalutata rendendo la meta più accessibile? Sarà per il fascino esotico di una terra di mezzo tra Europa e Asia? Sarà perché è uno dei pochi Paesi europei a non aver vietato i voli dalla Russia (registrando presenze per 7 milioni da quel mercato)? Sarà perché ha investito nella riqualificazione dei resort, divenuti più accoglienti e confortevoli della Costa Azzurra o della Riviera Amalfitana, almeno in termini di prezzo? Tutto questo assieme. Ma ancora non sarebbe sufficiente. Anzitutto la destinazione promette un sorriso: 1,5 milioni di arrivi sono spinti verso le sponde turche da motivazioni sanitarie, con l’odontoiatria estetica in cima alla lista dei trattamenti, ma anche trapianti di capelli, seguiti dalla correzione degli occhi con il laser e dalla chirurgia per la perdita di peso. 1,7 milioni di visitatori – per conteggiare il solo mese di agosto – hanno visitato Istanbul, con i suoi quartieri vivaci e la spettacolare architettura ottomana, che può essere ammirata dall’alto con i tour in mongolfiera; quasi altrettanti a Efeso, sulla costa occidentale, antica meraviglia dai monumenti colossali.
Nel frattempo, in Italia, si continuano a perdere posizioni. Nel 1950, un viaggiatore internazionale su cinque sceglieva l’Italia. Certo, allora viaggiavano poco più di 25 milioni di persone, ma da allora la quota di mercato si è ridotta di decennio in decennio, dal 19% del 1950 al 15.9% del 1960, al 7.7% del 1970 e poi sempre più giù fino al 6.1% del 1990, al 4.6% del 2010 e al 4.2% di oggi (dati Istat). Altrettanto certamente, si sono aperti nuovi mercati, si sono spalancati nuovi Paesi, si sono messi in movimento nuovi popoli di viaggiatori, ma nessuno ha perso quanto l’Italia. E soprattutto nessuno ha approfittato così poco del boom del turismo mondiale: dal 1950 ad oggi, i viaggiatori internazionali nel Bel Paese si sono moltiplicati 10 volte – da 4.8 a 49.8 milioni – ma l’immenso popolo di turisti del mondo nel frattempo si è moltiplicato 43 volte, evidentemente non scegliendo la destinazione che più di ogni altra avrebbe desiderato.
Difficile contabilizzare la perdita. E impossibile estrarre dal cilindro una ricetta magica. Ma il coraggio non manca certamente a 7 manager di destinazione che hanno inteso ricercare una chiave di lettura condivisa, originale ed estremamente attuale: Daniela Cavallo, Maurizio Di Marco, Virgilio Gay, Giovanni Antonio Sanna, Letizia Sinisi e Andrea Succi hanno accettato l’invito di Federico Massimo Ceschin che – dal tempo dei lockdown – invocava la necessità di una pausa di riflessione del settore turistico in Italia, reo di essersi addormentato sulla rendita di posizione senza accorgersi che, nel frattempo, il mondo era cambiato e minacciava di evolvere ancora più rapidamente.
Il libro / manuale che vuole essere un “manifesto”
L’esito di questo fertile incontro è un libro/manuale “Il nuovo ruolo delle DMO”, edito dal marchio editoriale di SIMTUR, “Movability Books”: una sorta di manifesto della “fabbrica del turismo”, che si dichiara senza mezze misure: «Le DMO come cuore della destinazione: verso un sistema coerente, omogeneo, integrato e sostenibile di accoglienza, ospitalità e servizio, in grado di fare leva sulle plurali identità territoriali, sulle esperienze di comunità, sui patrimoni materiali e immateriali e sulle “cose belle” che si producono all’ombra dei campanili (e piacciono al mondo)».
Lontani dall’immaginare di avere una soluzione miracolosa, basandosi unicamente sulle proprie esperienze in tutto il territorio nazionale e in diversi altri Paesi europei, ciascuno dei 7 esperti ha decostruito il proprio percorso per cercare punti di convergenza con la visione degli altri, fino ad affinare un possibile percorso virtuoso per i territori che desiderano intraprendere la sfida di posizionarsi strategicamente nei mercati come destinazione di turismo sostenibile, ma anche come «piccola patria» capace di restituire competitività, innovazione, benessere, equità e prospettiva alle comunità locali.
«Non c’è destinazione turistica possibile senza cultura dell’ospitalità», spiega Andrea Succi. «Solo un modello down-top, che muova i propri passi dal genius loci, consente di identificare il DNA dei luoghi», aggiunge Letizia Sinisi. Strategie che possono essere assicurate soltanto attraverso l’organizzazione di DMO – organizzazioni di destinazione – che sviluppino il prodotto turistico «e lo accompagnino al mercato attraverso DDMC – Destination Development Management Company», illustra Virgilio Gay, che insiste sulla assoluta necessità di innovare le politiche turistiche attraverso la redazione di “Masterplan di destinazione”. «Perché valorizzare un territorio è un ballo a due, tra il luogo e chi opera per renderlo fruibile: è affidarsi reciprocamente, trasportare ed essere trasportati, seguendo una danza come flusso ininterrotto e coordinato di azioni volte a generare e raccontare bellezza», conclude Daniela Cavallo.
«Il sistema turistico nazionale è ancorato a due soli prodotti turistici: il segmento balneare e il modello delle “città d’arte” – insiste Giovanni Antonio Sanna – Ma il primo soffre di stagionalità eccessiva, mentre il secondo produce sovraffollamento, omologazione e competitività basata solo sul prezzo». «Per questo diventano sempre più necessarie competenze specialistiche e professionalità rese autorevoli da solidi percorsi formativi», gli fa eco Maurizio Di Marco, presidente dell’Accademia Creativa Turismo.
«Il libro/manuale interpreta il desiderio di professionisti esperti che intendono offrire un contributo al design del turismo in Italia, che può accompagnare le comunità locali ad attraversare un presente storico globalizzato che non si presenta privo di conflitti, incertezze e motivi di crisi, ma anche di sfide affascinanti e di proiezioni fertili», conclude il curatore, Federico Massimo Ceschin.
«La domanda dei mercati premia sempre più l’autenticità, la flessibilità e la sostenibilità, ovvero elementi che richiedono uno straordinario ridisegno delle destinazioni turistiche in chiave identitaria, omogenea e di forte integrazione di prodotto – scrivono gli autori nelle conclusioni – con catene del valore e filiere fortemente ridotte e, soprattutto, orientate all’esperienza di fruizione del visitatore. Le DMO possono essere interpreti efficaci della necessità e dell’urgenza di dotare i territori delle risorse, degli strumenti, delle tecnologie e delle competenze necessarie».
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