L’importanza del cibo per il turismo
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14 Novembre 2023
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Può il cibo rivaleggiare con monumenti, musei, eventi e segmento balneare come attrazione di viaggio? Quali condizioni possono accompagnare un contesto locale a diventare destinazione di turismo gastronomico?
Non fosse sufficiente che le Nazioni Unite hanno riconosciuto il cibo come “bene culturale immateriale”, sarebbe sufficiente ricordare che ogni viaggiatore, mosso da qualsiasi motivazione, individuale o di gruppo, in cerca di cultura o di divertimento, prima o poi mangia. Ma sono sufficienti queste leve per disegnare una destinazione in grado di competere nei mercati del turismo?
Partiamo dal presupposto che il cibo consente di connettere le persone tra loro e con la natura: è un canale diversificato e dinamico per condividere storie, creare relazioni e costruire comunità. Combinando cibo e bevande locali con il tempo libero e il benessere, ogni viaggio può offrire un assaggio autentico dei luoghi visitati, ma anche esperienze uniche e memorabili, capaci di rigenerare un tessuto tra ospite e ospitato, con il semplice gesto di mettere a tavola ciò che viene coltivato e prodotto in una determinata area territoriale.
Oltre 1/3 della spesa turistica destinato alla tavola
Secondo i dati della European Travel Commission, nel 2023 il 58% dei turisti ha viaggiato avendo come motivazione primaria l’enogastronomia: un valore superiore di 37 punti percentuali rispetto al 2016!E occorre anche considerare che 7 su 10 hanno realizzato almeno cinque viaggi nel 2022 (+25% sul 2021)…
Il cibo si conferma il vero valore aggiunto della vacanza in Italia, che può contare su 5.450 specialità ottenute secondo regole tradizionali protratte nel tempo per almeno 25 anni, censite dalle Regioni, 320 specialità Dop/Igp, 415 vini Doc/Docg e la leadership nel biologico con 86mila aziende.
Non può dunque essere considerato un caso se il cibo è diventato la voce principale del budget della vacanza, con oltre 1/3 della spesa turistica destinato alla tavola per consumare pasti nei locali ma anche cibo di strada o souvenir acquistati presso mercati, feste e sagre di Paese, per un impatto di 30 miliardi di euro nel 2023 (dati Coldiretti).
Ancora qualche numero (dati del Centro Studi Confagricoltura): la vendita di prodotti tipici ai turisti stranieri vale 900 milioni di euro (oltre i 200 milioni spesi dagli italiani in vacanza). Ogni turista straniero “porta” 2,48 euro al giorno all’agricoltura e 5,59 euro all’industria alimentare.
Profilo del turista post-pandemico
La pandemia ha cambiato lo scenario turistico, con la domanda dei viaggiatori sempre più orientata a godersi attività all’aria aperta, preferendo sistemazioni come agriturismi o relais di campagna, con una ricerca di soluzioni innovative come case sull’albero, glamping ecosostenibili e strutture ricettive presso cantine, frantoi e altri stabilimenti di produzione agroalimentare.
Attraverso innovativi percorsi enogastronomici si offre l’opportunità di scoprire località meno celebrate e meno frequentate dal turismo di massa, dove un’offerta che valorizza i cibi tipici locali appare sempre più decisiva nelle scelte dei viaggiatori, ancor più quando l’ospite è posto al centro della produzione, partecipando alle attività quotidiane dell’azienda agricola. La prossimità tra produttore e consumatore, tra cuoco e viaggiatore, consente di vivere esperienze naturalistiche, culturali e gastronomiche come ad esempio corsi di cucina, tour di vigneti, cantine e degustazioni di vini, tour di birrifici artigianali, visite a prosciuttifici o acetaie, esplorazioni di fattorie e produttori artigianali, frantoi oleari e masserie.
Perché turismo rurale e non gastronomico?
Per turismo rurale intendiamo qualcosa di ancor più fondamentale della soddisfazione del visitatore: esso infatti può svolgere un ruolo significativo nella conservazione del patrimonio locale, basandosi sulle risorse turistiche esistenti e guidando l’innovazione. Aumentando il valore percepito dai visitatori, si contribuisce alla sostenibilità a lungo termine dell’agricoltura, dei sistemi alimentari, delle comunità e della cultura autoctona. E’ peraltro un tipo di turismo che promuove il confronto, la conoscenza, e il dialogo, oltre il piacere della tavola e la sicurezza alimentare.
Dare vita a destinazioni di turismo rurale sostenibile significa organizzare i territori in “Comunità del Cibo e della Biodiversità“, contribuendo all’educazione alimentare, alla crescita della consapevolezza della comunità locale, alla conservazione delle tradizioni culinarie e al sostegno delle piccole realtà locali.
Il tessuto rurale non è idoneo per forme di turismo che superino la capacità di carico dei territori, attraendo segmenti di viaggiatori più sostenibili, più rispettosi e più istruiti.
Quando l’uomo cessò di correre dietro al cibo,
il cibo percorse le strade costruite dall’uomo
Di grande ispirazione, come sempre, il grande Carlin Petrini: «La grande sfida che abbiamo davanti è comprendere la connessione tra cibo, ambiente, geopolitica, uguaglianza e salute. Ma aggiungo tematiche quanto mai moderne come la bellezza dei territori e l’integrità di paesaggi, che mai come in questo momento necessitano di un’interpretazione politica alta e significativa. Il mondo del cibo è stretto tra due esigenze, quella del bisogno e quella del piacere alimentare, che pur connesse, non interagiscono: la sola attenzione all’elemento ludico ci fa perdere di vista le situazioni di disuguaglianza e la sofferenza degli ecosistemi; la sola attenzione agli ecosistemi senza capire che dietro ci sono persone e comunità che lo producono per noi porta ad un ambientalismo sterile. E noi dobbiamo riconnetterle».
«Al tempo del turismo di massa – gli fa eco il presidente SIMTUR, Federico Massimo Ceschin – si è diffusa la pratica del “menu turistico”, con il viaggiatore considerato come un soggetto collettivo, stereotipato e indifferenziato. Ora assistiamo ad una sorta di programmazione sensoriale della gastronomia, con tutta l’enfasi spostata sull’esperienza turistica, che pone non pochi paradossi circa l’autenticità della proposta. Per questo la dimensione rurale diventa custode della tradizione e consente di restituire senso alla parola ospitalità, ed è in questa direzione che invitiamo territori e imprese a muoversi. A sostegno di questi luoghi, di questi contadini custodi e di queste comunità locali abbiamo generato la piattaforma nazionale rurability, attorno ai valori del Manifesto del turismo rurale».
«Alla domanda “Cos’è un panorama?, il linguista e semiologo francese Roland Barthes rispondeva “È un’immagine da decifrare” – prosegue il presidente Ceschin – Così anche il cibo, tra sapori di terra e tradizioni di popolo, consente di toccare il vissuto sensibile del viaggiatore, che gode al tempo stesso di un piacere terreno e del piacere di interpretare i luoghi, scoprendosi innamorato della conoscenza e delle persone che incontra. Questo amore è il nostro valore più grande».
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