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Latina candidata a Capitale Italiana della Cultura 2026

Il Ministero della cultura ha reso noto le 26 città italiane che hanno presentato una manifestazione d’interesse per il bando “Capitale italiana della cultura 2026”, distribuite in 14 regioni, con un’ampia distribuzione geografica da nord a sud, tra cui una che apparentemente ha il sapore della provocazione e non ha mancato di far sorridere alcuni: la Città di Latina. Eppure…

Settembre è un mese decisivo: le 26 aspiranti Capitali dovranno perfezionare la loro candidatura inviando un dossier – entro il prossimo 27 settembre – che sarà sottoposto alla valutazione di una commissione composta da sette esperti indipendenti di chiara fama nel settore della cultura, delle arti, della valorizzazione territoriale e turistica. Nell’attesa di conoscere i nominativi, i redattori delle candidature devono stilare un progetto culturale della durata di un anno, con cronoprogramma delle singole attività, e individuare un organo incaricato dell’elaborazione e promozione del progetto, della sua attuazione e del monitoraggio dei risultati.

Ci saranno ulteriori due fasi da tenere monitorate: entro il 15 dicembre la commissione definirà le 10 città finaliste che – dopo un’audizione pubblica – attenderanno il 29 marzo 2024 per la proclamazione della Capitale italiana della cultura 2026. Non soltanto un titolo di prestigio: la vincitrice riceverà un contributo statale di un milione di euro per mettere in mostra i propri caratteri originali e i fattori che ne determinano lo sviluppo culturale, inteso come motore di crescita dell’intera comunità.

Latina candidata a Capitale Italiana della Cultura 2026

La candidatura di Latina

SIMTUR ha deciso, senza dubbi, di sostenere e partecipare attivamente alla candidatura di Latina. Anzitutto perché le sfide ci piacciono, anche nel periodo molle del Ferragosto. Ma soprattutto perché, sulla carta e persino nell’umore dei residenti, la città appare lontana anni luce dal poter diventare un modello virtuoso nazionale. Eppure…

Eppure c’è un elemento che più di ogni altro appare straordinario. Non il ricorso al passato o a glorie lontane, non un elenco di patrimoni culturali e siti archeologici, forse nemmeno una sploverata alla vivacità intellettuale e civile, quanto piuttosto la sfida nella sfida di voler rappresentare un’Italia dimenticata e spesso reietta, ancora saldamente ancorata alla terra, alle matrici rurali e contadine, al senso di comunità che resiste alle intemperie della contemporaneità più selvaggia, che assurge alle cronache spesso soltanto per atti violenti e vandalici.

No, non serve scomodare l’antica Roma, l’ager pomptinus o la presenza millenaria dell’Appia antica, il Medioevo e l’opera del papato, né altri sedimenti storici che certamente non possono competere con la vicina Capitale. Meglio accettare questa diversità e partire da altri presupposti. L’intero Lazio soffre una profonda dicotomia con Roma, se soltanto ci fermassimo a riflettere sul dato che vede una regione così ricca e splendida riuscire ad intercettare solo il 14% dei flussi turistici che mirano a passeggiare – e fare shopping – attorno al Colosseo…

E non è nemmeno necessario scomodare i caratteri geografici del territorio provinciale, che pure è un’area completa in cui coabitano mare, monti, isole, terme, parchi nazionali e regionali, monumenti naturali, archeologici e medievali, ben oltre gli insediamenti moderni. Né guardare al litorale che per oltre 100 km vede alternarsi spiagge di fine rena e promontori rocciosi, secondo un disegno che crea una grande varietà di ambienti e paesaggi, con una viabilità secondaria che potrebbe diventare straordinaria occasione di rilancio con la mobilità dolce e attiva.

Il focus della candidatura di Latina ha radici nella terra. In fondo, cosa meglio delle bonifiche del Novecento ci parla della forza di volontà di un popolo che è riuscito a sottrarre – metro su metro, podere su podere – fango alle paludi per realizzare fertilità, sviluppo e benessere? Valgono forse meno quegli italiani? Dagli ingegneri agli operai, dai latifondisti ai numerosissimi immigrati (soprattutto dal Veneto e dal Nord Italia) che immersero le mani nel fango per ricavarne terreno agricolo e sviluppare borghi rurali come Doganella e Ninfa, ma anche Borgo Podgora, Borgo Isonzo e Borgo Carso che testimoniano già dal nome livelli di coesione oggi difficilmente immaginabili.

E poi, oltre ai borghi, la fondazione di nuove città concepite secondo i criteri dell’architettura razionalista: non solo Latina, fondata come Littoria nel 1932, ma anche Sabaudia (in onore dei Savoia), Pontinia, Aprilia e Pomezia, prima di uno sviluppo industriale che seppe favorìre l’insediamento di numerosissime aziende, soprattutto alimentari, ma anche chimiche e farmaceutiche, che divennero attraenti per nuova immigrazione – questa volta da Sud – che finì per mescolarsi ai locali e ai coloni giunti dal Nord, in uno straordinario mescolamento di sudore e sangue, ma anche dialetti, culture e stili di vita che hanno fatto dell’Agro Pontino un caso di studio demo-sociologico nazionale.

Ora che l’immigrazione italiana si è fortemente stabilizzata, Latina vede giungere nuove famiglie dai Paesi asiatici come l’India, il Pakistan e il Bangladesh, così come da paesi del Nordafrica e dell’Africa subsahariana, generando un melting pot di culture che certo non assomiglia al Rinascimento fiorentino ma diventa un arcobaleno di situazioni tali da realizzare persino dei primati: quanti sanno che il territorio attorno a Latina è una delle zone più giovani d’Europa? E che presenta il tasso di natalità più alto del Lazio?

Un fenomeno connesso ad un’agricoltura tra le più importanti d’Italia per numero di operai a tempo determinato e addetti (19.075) che rappresentano il 45% della forza lavoro agricola dell’intera regione Lazio e attestano Latina come prima provincia in assoluto nell’Italia centrale. Manodopera che consente di generare – anche al netto di zone di opacità che richiederebbero maggiore presenza delle autorità – livelli di produzione davvero importanti: nel primo semestre 2022 l’export agricolo della provincia è stato di 163 milioni di euro, pari al 3,7% del totale nazionale e ben il 78% di quello regionale di settore!
E ancora una volta sono i giovani ad essere protagonisti, con gli under 35 che hanno superato 70.000 unità tra imprenditori agricoli, soci di cooperative agricole e startupper.

La sfida di Latina è la sfida dell’Italia intera che, dopo decenni di abbandono della ruralità e delle aree interne, intenda proiettarsi nel futuro ripartendo dalla terra, dall’agricoltura di qualità, dall’innovazione e dal cibo, straordinario ambasciatore di sostenibilità economica, sociale e ambientale.
Latina al centro del suo Agro potrebbe diventare il paradigma di un nuovo patto città/campagna che non soltanto restituisca dignità alla storia, alla memoria ed al ruolo sociale dei contadini e degli agricoltori, ma suggerisca modalità innovative per generare sviluppo sostenibile in tante altre province del Bel Paese, alla luce di un’ecogastronomia in cui gesti semplici e tradizioni – sommate al duro lavoro – tornino ad essere al centro della cultura popolare e fungano da stimolo per la ricerca e l’innovazione.

Una trama in cui la candidatura a Capitale italiana della cultura non è più dunque soltanto una provocazione, come qualcuno ritiene, soffermandosi in superficie ed elencando le criticità che non mancano nel tessuto urbano e sociale, ma un’iniezione di fiducia, ingrediente fondamentale di qualsiasi forma di futuro. Qualora la luce accesa dall’Amministrazione rimanesse accesa dopo il 27 settembre, ci piace scommettere che si diffonderà il desiderio di intraprendere un progetto che possa fornire le ali all’anima creativa, intelligente e green della città.


L’ultima città ad essere insignita del titolo di Capitale della cultura è stata Agrigento per il 2025, preceduta da Pesaro che diventerà capitale della cultura nel 2024 e da Bergamo e Brescia che sono attualmente in carica per il 2023. La prima a ottenere questo riconoscimento è stata Mantova nel 2016. Poi sono seguite Pistoia nel 2017, Palermo nel 2018 e Parma nel 2020, titolo prorogato anche nel 2021 a causa dell’emergenza Covid-19, mentre nel 2022 è stata Procida.

Per completezza di informazioni, ecco l’elenco delle città che hanno presentato la domanda per il 2026:

  1. Agnone (Isernia) – Molise
  2. Alba (Cuneo) – Piemonte
  3. Bernalda (Matera) – Basilicata
  4. Carpi (Modena) – Emilia Romagna
  5. Cleto (Cosenza) – Calabria
  6. Cosenza – Calabria
  7. Gaeta (Latina) – Lazio
  8. L’Aquila – Abruzzo
  9. Latina – Lazio
  10. Lucca – Toscana
  11. Lucera (Foggia) – Puglia
  12. Maratea (Potenza) – Basilicata
  13. Marcellinara (Catanzaro) – Calabria
  14. Massa (Massa – Carrara) – Toscana
  15. Moliterno (Potenza) – Basilicata
  16. Nuoro – Sardegna
  17. Pantelleria (Trapani) – Sicilia
  18. Potenza – Basilicata
  19. Rimini – Emilia Romagna
  20. Senigallia (Ancona) – Marche
  21. Todi (Perugia) – Umbria
  22. Treviso – Veneto
  23. Unione dei Comuni dei Monti Dauni (Foggia) – Puglia
  24. Unione dei Comuni “Terre dell’Olio e del Sagrantino” (Perugia) – Umbria
  25. Unione dei Comuni Valdichiana Senese (Siena) – Toscana
  26. Unione Montana dei Comuni della Valtiberina Toscana (Arezzo) – Toscana

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Il cibo, ambasciatore di sostenibilità, per un Rinascimento rurale!