Il Mediterraneo, 5 gradi sopra la media, si tropicalizza
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24 Luglio 2022
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Le temperature da record che hanno colpito l’Europa negli ultimi due mesi continuano ad avere un impatto sulle acque del Mar Mediterraneo. Secondo il servizio di monitoraggio dell’ambiente marino di Copernicus, la temperatura della superficie del mare, registrata il 22 luglio, mostra “un’anomalia fino a +5° lungo le coste della Francia e dell’Italia”.
Nel 2003, fino a oggi considerato l’anno più caldo per il Mediterraneo, l’aumento delle temperature fu di 3 gradi. Per avere un dato complessivo relativo al 2022 occorrerà comunque attendere la fine dell’anno, ma l’aumento della temperatura sta portando alla “tropicalizzazione del Mediterraneo“: la definizione è di Stefano Goffredo, professore del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna. La prima conseguenza, ha spiegato, è che “specie aliene arrivano nelle nostre acque dal Mar Rosso e dell’Oceano indiano, attraverso il Canale di Suez“.
Ciò comporta che il Mediterraneo si arricchisce di “nuove specie marine che arrivano attraverso un raddoppiato Canale di Suez che diventa come la galleria di un’autostrada. Si chiamano specie aliene perché vengono introdotte in nuovi ambienti dall’uomo“, ha aggiunto il professor Goffredo.
Accanto alla tropicalizzazione, esiste un altro fenomeno migratorio: la meridionalizzazione del Mediterraneo. In questo caso “specie marine che vivono nel Sud del Mediterraneo si spostano verso il Nord, raggiungendo ad esempio le acque liguri o, dall’altro lato, verso l’Adriatico settentrionale“. Si tratta, ha detto Goffredo, di “strade senza uscita“.
Gli effetti nei mari italiani
Il riscaldamento dei mari non solo genera pesanti effetti sull’ecosistema del Mar Mediterraneo, ma impatta anche sulle attività economiche (pesca, allevamenti ittici) e sul turismo. Basti pensare che qui vivono 17.000 specie marine che rappresentano dal 4 al 25% della biodiversità. Biodiversità che è messa a rischio all’arrivo delle specie predatorie aliene che fanno man bassa delle specie autoctone. In Liguria, ad esempio, i pescatori locali segnalano un costante aumento di catture di barracuda, che erano rari fino a due decenni fa.
Un altro predatore è il pesce scorpione, sempre più presente in Libano, Cipro, Turchia, Grecia, Tunisia, Siria, Italia e Libia, che è una specie particolarmente vorace, con uno stomaco capace di espandersi fino a 30 volte, e genera danni anche per la pesca, entrando direttamente in competizione con l’alimentazione umana, visto che il 95% delle sue catture potrebbero tranquillamente finire sulle nostre tavole.
Poi ci sono i pesci coniglio – anche loro arrivati attraverso il canale di Suez – che sono la causa della devastazione degli habitat fondamentali per la sopravvivenza delle specie native, generando una riduzione delle grandi piante marine pari al 65%, quella delle alghe del 60% e complessivamente del 40% quella delle specie presenti.
E la Caravella portoghese. Nei giorni scorsi a Catania una donna è entrata in contatto con la physalia physalis ed è finita in ospedale. La bagnante era stata “toccata” dai pericolosi tentacoli vicino all’Isola dei Ciclopi, davanti ad Aci Trezza. La donna, che soffriva già di patalogie pregresse, si è sentita male dopo il bagno e in breve ha accusato cefalea, vomito, difficoltà respiratorie e un’aritmia cardiaca.
Da non sottovalutare è la comparsa nei mari italiani di meduse dal mar Rosso. Il nome scientifico è rhopilema nomadica e popola le acque che bagnano le coste italiane già da tempo. Lo spiega sempre il professor Goffredo: “Quando sono arrivate dal Mar Rosso abbiamo assistito a un’esplosione della loro popolazione e il primo problema è stato causato alla pesca perché si tratta di una massa gelatinosa di tonnellate che complicano o addirittura impediscono il recupero delle reti“.
Queste meduse, considerate pericolose, “possono avere anche un impatto sociale ed economico perché il loro aumento nelle acque balneabili può avere impatti importanti anche sul turismo“, ha concluso il professore.
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